Skip to content

Mourning Mandela 2013

I travelled to South Africa as soon as I heard the news of Nelson Mandela's death. In the days leading up to Mandela's burial ceremony I walk through the quarters where Mandela lived: Soweto, Alexandria manche the infamous Hillbrow where I am warned several times not to go. I meet many people worried about where the country will go from here but united by a sense of hope that Mandela's struggle and years in prison were not in vain. Text by journalist and writer friend Riccardo Michelucci after the Gallery

Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Alexandra, Johannesburg
Alexandra, Johannesburg
White squatters living in Coronation Park,
White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
Alexandra, Johannesburg
White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
Soweto, Johannesburg.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
Alexandra, Johannesburg

White squatters living in Coronation Park, Johannesburg.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.
Alexandra, Johannesburg
Alexandra, Johannesburg
Alexandra, Johannesburg
Alexandra, Johannesburg
Alexandra, Johannesburg
Hillbrow Johannesburg,It is known for its high levels of population density, unemployment, poverty, prostitution and crime.

Quel sorriso che ha cambiato il mondo

testo di Riccardo Michelucci

Bono Vox ha dedicato a Nelson Mandela, di cui era amico oltre che profondo ammiratore, un commosso ricordo sul Time Magazine dal titolo “L’uomo che non poteva piangere”. Sembra una metafora poetica ma era vero: Madiba non aveva più lacrime perché la polvere e il calcare delle cave di Robben Island, la prigione nella quale era stato rinchiuso dal 1963 al 1990, gli avevano causato un danno irreversibile ai dotti lacrimali. Nessuno, neanche le persone a lui più vicine, l’ha dunque mai visto piangere, ma nessuno potrà neanche mai dimenticare il suo sorriso.

Mandela è stato un grande comunicatore che non ha potuto disporre di grandi mezzi di comunicazione. Un messaggero di pace senza essere un vero pacifista. A pensarci bene non è stato neanche un nonviolento nel senso gandhiano del termine. Negli anni ’80, quando stava ancora marcendo nel carcere di massima sicurezza e il percorso del Sudafrica verso la democrazia era ancora lungo e difficile, Margaret Thatcher non si fece scrupoli a definirlo “un terrorista”. Nel vocabolario colonial-conservatore della Lady di Ferro era una descrizione che non faceva una piega. In gioventù Mandela aveva sostenuto la necessità di combattere il segregazionismo istituzionale bianco facendo uso anche delle armi. Era stato uno dei fondatori e il comandante dell’ala armata del suo partito. Aveva coordinato la campagna di sabotaggio contro l’esercito e gli obiettivi del governo, organizzato campi militari, elaborato piani per una possibile guerriglia che ponesse fine al regime dell’apartheid. Nel giugno 1980 riuscì a far uscire dalla prigione un manifesto d’incitamento ai suoi compagni che recitava: “Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!”

Cinque anni dopo aveva rifiutato un’offerta di libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata e per questo era rimasto in prigione fino all’11 febbraio 1990. Ma ciò che il mondo non poteva ancora sapere era che quei 27 anni di carcere avevano avuto in lui l’effetto catartico di una risurrezione a nuova vita. Tra le anguste mura e le privazioni di Robben Island Mandela aveva compiuto il suo percorso prima spirituale poi politico, trasformandosi in un leader di statura planetaria, capace di tenere a freno gli istinti vendicativi di un popolo stremato dalle più brutali angherie. Di evitare con una sola parola e un singolo gesto della sua mano un bagno di sangue altrimenti inevitabile. La migliore celebrazione di questo traguardo si ebbe tre anni dopo, quando alla fine di aprile del 1994 si tennero le prime elezioni multietniche del Sudafrica e migliaia di persone si misero in fila per ore, con grande pazienza e compostezza, per poter esercitare questo diritto per la prima volta nella loro vita.

Ma la sua credibilità e la sua autorevolezza non gli derivavano dal Nobel per la pace ottenuto l’anno prima, bensì dal fatto di aver vissuto sulla propria pelle le battaglie per il rispetto, per il perdono, per l’importanza dell’educazione. E per essere riuscito a tradurre questi concetti in azione, in rivoluzione, a costo della propria libertà. Il suo messaggio di pace e di riconciliazione è stato veicolato globalmente nel miglior modo possibile grazie alla sua arma più potente: il sorriso.

Non per caso, subito dopo la sua morte, quello che secondo la classifica di Forbes rappresenta da anni il “brand di maggior valore al mondo”, cioè Apple, gli ha dedicato la homepage del proprio sito, riconoscendolo come simbolo planetario di libertà e dignità umana. Per giorni una semplice immagine in bianco e nero di Mandela – ovviamente sorridente – affiancata dalla sua data di nascita e di morte ha fatto bella mostra di sé nella pagina iniziale del sito della Mela. Un giusto tributo a un uomo che ha combattuto con la forza della felicità, e con questa è riuscito a cambiare il mondo.

Leave a reply

Leave a Reply